martedì 28 giugno 2016

Buon appetito: Frittata ripiena



La frittata ripiena è un goloso secondo piatto per far gustare le uova in maniera più sfiziosa, anche ai bambini. Si tratta di una preparazione che richiede poco tempo, ma permette di realizzare una pietanza ricca di sapori ideale anche come spuntino da portare ad un pic-nic fuori porta! Dividendo l'impasto di uova a metà, otterrete due soffici dischi tra cui racchiudere un cuore filante di Emmentaler e deliziose fettine di prosciutto cotto. Ma potete liberare la vostra fantasia per il ripieno e condire la frittata ripiena come più preferite, magari variando con una farcitura di formaggio e verdure di stagione saltate in padella!

Ingredienti per una padella di 24 cm

Uova 8 medie 
Formaggio Emmentaler 200 gr 
Prosciutto cotto a fette 120 gr 
Grana padano grattugiato 50 gr 
Erba cipollina 10 rametti 
Olio di oliva extravergine q.b. 
Sale fino q.b. 
Pepe q.b. 

Per preparare la frittata ripiena, iniziate spezzettando grossolanamente i rametti di erba cipollina e affettate il formaggio Emmentaler. Rormpete le uova e raccoglietele in una ciotola capiente,

Quindi sbattetele con una forchetta e aggiungete il Grana grattugiato , mescolate e unite i rametti di erba cipollina; salate e pepate a piacere.

Amalgamate tutti gli ingredienti quindi dividete l'impasto in due ciotoline; in una padella di 24 cm di diametro, versate un filo d'olio e fatelo scaldare bene. Quindi versate il contenuto di una delle due ciotoline, e coprite con il coperchio per far cuocere a fiamma vivace 2-3 minuti. Quindi girate la frittata con l’aiuto del coperchio o di un piatto, capovolgendola e facendola scivolare di nuovo nella padella e lasciate cuocere l’altro lato per altri 2 minuti senza coperchio.Trasferite la frittata pronta su un piatto e tenetela da parte un momento.

Ungete un'altra padella di 24 cm di diametro con un filo d'olio, fate scaldare e ripetete le stesse operazioni per le restanti uova: versate il contenuto della ciotola in padella e lasciate cuocere circa 2 minuti con il coperchio; poi capovolgetela aiutandovi con il coperchio; cuocete la frittata anche dall'altro.

Dopodiché distribuite le fettine di formaggio sulla superficie della frittata e quelle di prosciutto. Adagiate la frittata che avevate preparato in precedenza con la parte in cui sono visibili i rametti di erba cipollina rivolta verso l'alto.

Coprite con il coperchio e cuocete per 1-2 minuti ancora, poi sformate delicatamente la frittata e adagiatela su un vassoio o un piatto da portata. Potete affettare la frittata ripiena e servirla a spicchi!

Conservazione

Conservate la frittata in frigorifero coperta con pellicola trasparente o in un contenitore ermetico per 1 giorno.
Potete congelarla se avete utilizzato ingredienti freschi, magari già porzionata.


Di tutto un po' #353


“Ho contato i miei anni ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere da qui in avanti di quanto non ne abbia già vissuto.

Mi sento come quel bambino che ha vinto una confezione di caramelle e le prime le ha mangiate velocemente, ma quando si è accorto che ne rimanevano poche ha iniziato ad assaporarle con calma.

Ormai non ho tempo per riunioni interminabili, dove si discute di statuti, norme, procedure e regole interne, sapendo che non si combinerà niente.

Ormai non ho tempo per sopportare persone assurde che nonostante la loro età anagrafica, non sono cresciute. 

Ormai non ho tempo per trattare con la mediocrità. Non voglio esserci in riunioni dove sfilano persone gonfie di ego.

Non tollero i manipolatori e gli opportunisti. Mi danno fastidio gli invidiosi, che cercano di screditare quelli più capaci, per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati.

Odio, se mi capita di assistere, i difetti che genera la lotta per un incarico maestoso. Le persone non discutono di contenuti, a malapena dei titoli.

Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli.

Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta…

Senza troppe caramelle nella confezione…

Voglio vivere accanto a della gente umana, molto umana.

Che sappia sorridere dei propri errori.

Che non si gonfi di vittorie.

Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo.

Che non sfugga alle proprie responsabilità.

Che difenda la dignità umana e che desideri soltanto essere dalla parte della verità e l’onestà.

L’essenziale è ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta.

Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle persone…

Gente alla quale i duri colpi della vita, hanno insegnato a crescere con sottili tocchi nell’anima.

Sì… ho fretta… di vivere con intensità, che solo la maturità mi può dare.

Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella di quelle che mi rimangono.

Sono sicuro che saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora.

Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza. Spero che anche il tuo lo sia, perché in un modo o nell’altro ci arriverai”


MARIO ANDRADE – Poeta, romanziere, saggista e musicologo brasiliano

sabato 25 giugno 2016

Di tutto un po' #352


Oggi, un bimbo mi chiede: “Ma il cuore sta sempre nello stesso posto, oppure, ogni tanto, si sposta? Va a destra e a sinistra?”.

Io: “No, il cuore resta sempre nello stesso posto. A sinistra”.

Ed intanto penso. Poi, un giorno, crescerai. Ed allora capirai che il cuore vive in mille posti diversi, senza abitare, davvero, nessun luogo. Ti sale in gola, quando sei emozionato. O precipita nello stomaco, quando hai paura, o sei ferito. Ci sono volte in cui accelera i suoi battiti, e sembra volerti uscire dal petto. Altre volte, invece, fa cambio col cervello. 

Crescendo, imparerai a prendere il tuo cuore per posarlo in altre mani. E, il più delle volte, ti tornerà indietro un po’ ammaccato. Ma tu non preoccupartene. Sarà bello uguale. O, forse, sarà più bello ancora. Questo, però, lo capirai solo dopo molto, molto tempo. Ci saranno giorni in cui crederai di non averlo più, un cuore. Di averlo perso. E ti affannerai a cercarlo in un ricordo, in un profumo, nello sguardo di un passante, nelle vecchie tasche di un cappotto malandato.

Poi, ci sarà un altro giorno. Un giorno un po’ diverso. Un po’ speciale. Un po’ importante. Quel giorno, capirai che non tutti hanno un cuore...


FIORI


Per conservare più a lungo i fiori recisi in vaso vi consiglio innanzitutto di tagliarli sotto il getto del rubinetto oppure all’interno di una bacinella piena d’acqua così da impedire che l’aria penetri all’interno dello stelo. È bene anche schiacciare l’estremità del gambo, così si agevola l’infi ltrazione di acqua. Per riempire il vaso utilizzate acqua distillata con qualche goccia di acqua canforata acquistabile in farmacia. Esistono anche altri espedienti come una zolletta di zucchero o un cucchiaio di aceto disciolti nell’acqua, oppure una pasticca di aspirina effervescente da immergere prima dei fiori. Quando il mazzo comincia ad affl osciarsi immergete i gambi per alcuni secondi in acqua bollente, poi tagliatene almeno 5 centimetri e rimetteteli nel vaso di acqua fresca. Le stanze molto calde non sono indicate per esporre un vaso di fiori, né le zone direttamente irraggiate dal Sole come il davanzale di una finestra.


La noia ♥


La noia ha cattiva fama, eppure in essa abita un segreto. Quello che la rende capace di abitare tra i mondi in una sorta di rischioso mondo intermedio, tra dentro e fuori. L’altra sera, al tramonto ho intravisto un gruppo di ragazzi all’incrocio di due strade. Stavano lì quasi silenziosi, allungati nelle ombre del sole che se ne stava andando, con i gesti sospesi a mezz’aria, come se volessero dire e fare molte cose senza tuttavia riuscirvi. Gli sguardi vagavano spegnendosi, senza trovare nel corpo la possibilità di una loro messa in moto. Vi era, quasi palpabile per chi guardava quella scena, come se ne vedono molte agli incroci, non tanto la sensazione di un’attesa, quanto una sorta di sospensione dell’attesa, come se non ci fosse più nulla da attendere. Eppure a quella sensazione così liquida il grappolo di quei ragazzi stava appeso, legato come da un filo che a volte si allungava, lasciando presumere un allontanamento solo mimato, altre si avvicinava sino al corpo a corpo senza mai spezzarsi. In quell`essere appesi su di una cancellata attesa, in quel punto di paludosa sosta della vita, dove la faceva da padrona l’incertezza, l’infelicità era come tenuta lontana tra le tante strade del crocicchio. Quei giovani stavano in una sorta di regno intermediario, una terra di mezzo ove ancora tutto è possibile e nulla veramente possibile. Stavano nel tempo e nello spazio della noia che è un’abitatrice dei crocicchi. I due che camminano, si parlano, si perdono, si ritrovano scoprendo che uno ha sostenuto l’altro nei momenti più duri, sono la metafora della vita e del dolore trasformato in amore. 

Graziano Martignoni, Psichiatra


La causa della miopia


La causa della miopia sta nell’adattamento della messa a fuoco (capacità di accomodazione) sulle distanze che normalmente vengono utilizzate nella vita quotidiana. Lo confermano degli studi accreditati da autorevoli riviste di optometria le quali riportano anche statistiche dove si evidenzia come la miopia aumenti di pari passo con il grado di scolarizzazione e quindi di impegno visivo sulle corte distanze, tipiche di chi legge libri, giornali (ma non i calendari!!) o usa attrezzature elettroniche. Altre analisi, eseguite su numerose tipologie di animali comprese le scimmie (queste ultime rappresentano l’anello della catena biologica più vicina all’uomo), ci dicono come sia possibile variare a piacimento il potere di messa a fuoco semplicemente aumentando o diminuendo lo stato di accomodazione del soggetto dell’esperimento, ad esempio costringendolo a guardare attraverso lenti “negative” come quelle normalmente assegnate a soggetti miopi per vedere “a fuoco” da lontano. Questi studi tendono a provare una diretta correlazione tra il “confinamento visivo” - come lo stiamo vivendo noi oggi all’interno della attuale società tecnologica ed informatica - e l’utilizzo di lenti negative, quelle che, ai miopi, al 99%, vengono prescritte per “curare” la loro miopia.

SPOSARSI


Per quelli della mia generazione, era la cosa più normale del mondo: crescevi, studiavi, magari trovavi un lavoro e poi ti sposavi. Uscire da casa e iniziare la tua vita da adulto passava attraverso il passo del matrimonio. Non ho mille anni eppure quella normalità sembra davvero lontana. Ce lo raccontano le cifre: nel 1971 venivano celebrati 7 matrimoni su 1000 persone, oggi se ne celebrano poco più di 3-4. E ci si sposa sempre più tardi: l’età media al primo matrimonio per gli uomini è di 34 anni, per le donne di 31. Quando si era sposata mia mamma, a 25 anni, passava per non proprio giovanissima, quando mi sono sposata io, alla stessa età, mi sentivo un “enfant prodige”. E Paola, fresca di matrimonio, con i suoi 32 anni si sente ora una ragazzina. “Non sono abbastanza grande per il matrimonio” commentava in un’intervista una ventisettenne: ma non è che si rischia di arrivare all’altare (anzi, sempre di più, in municipio) alla soglia della terza età? Che peccato, potesse servire a qualcosa lo ripeterei fino alla nausea ai ragazzi: sposarsi è la cosa migliore che possiamo fare, se lo facciamo con la testa, e con il compagno giusto. Decidere di unire la nostra vita con la persona che amiamo, rispettiamo, abbiamo piacere di avere vicino, con la persona che ci fa ridere e ci fa compagnia, che ci incoraggia, ci sostiene, ci vuole bene, è certamente una scommessa, ma è anche un’occasione stupenda per aprirsi a una vita mai vista prima. Fatta di normalità e di emozioni grandissime, come, se tutto va bene, la nascita dei propri figli… Sposatevi, sposatevi, sposatevi… e non aspettate di avere i soldi per la cerimonia. I matrimoni più avventurosi sono quelli dove la sposa ha scelto l’abito il giorno prima delle nozze o il ricevimento si è tenuto con un picnic sull’erba… I matrimoni più belli sono quelli dove lo sposo e la sposa ci credono, tutto il resto è davvero un di più. E convivere? Non fatevi ingannare: non è assolutamente la stessa cosa. Un conto è promettersi il per sempre: se non altro l’impegno viene preso. Un altro è dire “proviamo”, si parte già con il piede sbagliato, la possibilità della sconfitta, della rottura è non solo contemplata ma preventivata… Non si può stare bene in una situazione di prova, nella vita abbiamo bisogno di qualche piccola certezza. E il matrimonio è quella certezza che ti sostiene anche nei momenti no, il puntello, l’impalcatura. Per continuare a costruire un rapporto, giorno dopo giorno.

Tratto da un testo di R. Florio

PERCHÉ I CAPELLI DIVENTANO GRIGI?


La crescita dei capelli bianchi, generalmente comincia circa a 30 anni per i maschi e 35 anni per le femmine. Ma, i tempi di sviluppo del fenomeno variano da persona a persona. L’età non è un indicatore di riferimento, in quanto sono diverse le cause e possono essere di origine genetica, psicologica, nutrizionale e metabolica. I capelli, come la barba e le unghie, sono le uniche parti del corpo umano che crescono sempre e nei follicoli piliferi (ne abbiamo 150.000 solo sul cuoio capelluto), si svolgono i processi che determinano il loro colore. È proprio nei follicoli che si producono i capelli: in media, per ogni centimetro quadrato di cuoio capelluto vengono generati 150 capelli. Con l’invecchiamento dei follicoli aumenta la presenza del perossido di idrogeno, cioè di acqua ossigenata, sostanza che ha il potere di stingere i capelli. Il perossido di idrogeno aumenta, così aumenta il suo effetto di inibizione sulla tiroxina, un enzima che produce il pigmento naturale dei nostri capelli: la melanina. Venendo meno questo colorante naturale, la testa delle persone si (de)colora di un bianco argenteo.

I LIQUIDI NELLA COTTURA



In cucina, i liquidi hanno una parte importante, in quanto regolano la morbidezza, il sapore e il profumo della pietanza. 

L’ACQUA

La pasta e il riso hanno bisogno dell’acqua, senza bollitura sarebbe impossibile prepararli. Il processo del bollire non è altro che il “reidratare”, l’ammorbidire senza perdere sostanze nutrienti. In realtà, durante la bollitura vi è uno scambio di sostanze tra il liquido e l’alimento: nel caso di pasta e riso, sappiamo che l’acqua diventa opaca, perché parte dell’amido si diluisce, ma al contrario gli ingredienti assorbono dall’acqua sapori e profumi, come il sale. Se nell’acqua mettiamo verdure o erbe fresche, il bollito o il lesso di carne ne prenderà il sapore, di contro dona all’acqua tutti i suoi sapori, lasciando, dopo la cottura, un magnifico brodo. L’acqua è l’elemento indispensabile per la cottura a bagnomaria: qui l’alimento è messo a bagno in un pentolino che viene posizionato in una pentola più grande, in cui vi bolle dell’acqua. In questo modo, la temperatura dell’acqua interna non raggiunge il punto di ebollizione e l’alimento non si brucia. Questo tipo di cottura è ottimo per gli ingredienti delicati, come le verdure, perché evita la perdita di sostanze nutrienti. L’acqua serve anche per la cottura a vapore. L’ingrediente non è posto a contatto diretto con l’acqua, ma cuoce grazie al calore umido di questa. È una tecnica sana e dietetica, perché le perdite di minerali e vitamine sono minime e anche la quantità dei condimenti da impiegare è bassa. Inoltre, i condimenti non cuociono per la temperatura debole del fuoco, col risultato di ottenere una pietanza leggera e digeribile. Il vapore evita anche la perdita di umidità degli alimenti, rendendoli morbidi e burrosi, come avviene per il pesce.


GIUBILEO 2016: LA VENUTA DELLA MISERICORDIA


“Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21).

Siamo immersi nel mistero della storia di salvezza, plasmati come fragili vasi di creta, ma nello stesso tempo, partecipi del mistero della divina grazia e della divina misericordia. Si sono manifestate, dice l’apostolo, la bontà e l’umanità di Dio nostro Salvatore. 

Il Verbo incarnato è la manifestazione suprema dell’amore di Dio che, assumendo la nostra natura con tutto il suo peso di miseria, viene a cercarci e a sollevarci. Quale disegno grande e consolante! San Bernardo con un’immagine molto eloquente diceva: “Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, per così dire, pieno della sua misericordia, un sacco che fu lacerato durante la Passione, perché ne uscisse il prezzo del nostro riscatto; un sacco certo piccolo, ma pieno, se c’è stato dato un bimbo (Is 9,5) in cui però “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9)”. 

Il Vangelo secondo Giovanni proclama solennemente: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Il Verbo incarnato è la risposta al profondo anelito dell’uomo. Immersi in questo mistero, abbiamo bisogno di imparare ad accogliere in noi la vita divina per divenire a nostra volta piccoli sacchi ricolmi di misericordia, sacchi rigonfi, che si squarciano per nutrire tutti i miseri, affamati di amore e di perdono.

Anna Maria Cànopi


I LIQUIDI NELLA COTTURA


I liquidi di cottura versati tra gli ingredienti della ricetta rendono i piatti più saporiti. Abbiamo parlato dell’acqua, il liquido di cottura più semplice e altri liquidi sono il brodo, il vino, la birra. Questi ultimi sono importanti nella preparazione di stufati e umidi. È consigliabile far prima marinare a freddo lo stufato nello stesso liquido in cui lo si farà cuocere, in modo da iniziare ad ammorbidire le fibre della carne. La cottura sul fuoco dovrà essere dolce e prolungata.

Il vino deve essere utilizzato in quantità minime e poi deve essere sfumato. Questa azione serve a staccare dalla base della pentola il fondo che gli zuccheri degli alimenti creano quando entrano a contatto con il recipiente, da cui proviene quel buon profumo di arrosto che sentiamo spandersi nell’aria. Aggiungendo il vino, otteniamo un sughetto oltre modo saporito e un retrogusto acido che completa la ricetta.

È sempre più consuetudine usare la birra in cucina. Rende più saporite le carni, è ottima per sfumare i risotti, è perfetta anche per i dolci. Gradevole è il tiramisù alla birra o la torta alla birra, ma anche con la zuppa di mele e patate. Bisogna però fare attenzione alla qualità della birra per ottenere piatti davvero gustosi.


I LIQUIDI NELLA COTTURA; LA MARINATURA



I liquidi vengono usati anche per cucinare i cibi a freddo attraverso il metodo della marinatura. Questa si compone di tre elementi importanti:

uno acido, che ha la funzione di “cuocere” l’ingrediente;

uno grasso, che ha la funzione di impedire la disidratazione dell’ingrediente;

gli aromi, che hanno lo scopo di arricchire il sapore della ricetta.

Tra gli elementi acidi si possono usare il vino, il limone, l’aceto, la birra. L’elemento grasso preferiamo sia sempre l’olio extravergine di oliva. Per gli aromi possiamo scegliere nella vastità di quanto fornito dalla natura secondo la stagione, la fantasia, l’inventiva, il gusto.


Mi sono persa!



TOMBE

Per orientarsi può essere utile anche osservare l’allineamento di tombe, sepolcri e monumenti commemorativi. Un’antica tradizione cristiana vuole che si faccia attenzione alla direzione verso la quale guarda il defunto. Per questo motivo molte tombe cristiane sono allineate lungo l’asse Est-Ovest. I defunti di fede musulmana vengono seppelliti sottoterra in riferimento a La Mecca.

UCCELLI

L’osservazione degli uccelli migratori ci aiuta ad orientarci. Ad esempio i colombacci (simili ai piccioni, ma con le punte delle ali bianche) migrano verso Sud da settembre a dicembre, verso Nord da marzo ad aprile. Gli uccelli possono aiutarci a conoscere la direzione anche da fermi, dal momento che amano radunarsi in luoghi riparati e sono abitudinari. Di solito scelgono di nidificare dove non soffia il vento dominante.

VENTI

Per orientarci è utile osservare gli effetti dei venti dominanti sulla vegetazione. La Rosa dei venti è una figura a forma di stella le cui punte indicano le direzioni dei principali venti. L’origine della Rosa dei Venti è legata alla storia della navigazione, dato che, in caso di cielo coperto, l’unico aiuto ai naviganti era rappresentato dalla loro conoscenza dei venti i quali, spirando da direzioni generalmente costanti, permettevano di seguire le rotte volute. Lo Scirocco è facilmente riconoscibile, perché è un vento caldo e secco che, passando sul mare, diventa caldo e umido. La Tramontana, al contrario, è un vento freddo che spira da Nord. Il Libeccio è un vento umido molto frequente nel Mediterraneo dove si presenta con raffiche violentissime.


La simbologia del colore giallo


Il colore Giallo, rappresenta il punto dove ogni individuo sviluppa l’esperienza relativa all’attività mentale e rappresenta le percezioni relative al potere, al controllo, alla libertà e alla facilità o meno di essere se stessi. L’attività mentale si manifesta mediante il pensiero che sviluppa un'idea, un' emozione, un concetto o un'immaginazione. Pensare in che modo ciascuno esprime la propria personalità, il modo in cui afferma le proprie idee, la maniera in cui domina e controlla le proprie, sono verifiche indispensabili per valutare il grado di equilibrio legato a queste emozioni. Una frenetica attività mentale può favorire l’impressione di sentirsi intrappolati in meccanismi di pensiero che sfuggendo al controllo razionale accrescono, in modo non sano, la percezione del potere che spesso si traduce in aberranti forme di limitazione alla libertà degli altri. Ciascun individuo deve tutelare la percezione di libertà così da limitare qualsiasi forma di estremizzazione del controllo razionale, e dunque garantirsi un pensiero emancipato che manifesta le proprie scelte e la consapevolezza di essere se stesso.


Funzioni e uso del colore giallo in cromoterapia


Il colore giallo in cromoterapia è di grande importanza. La sua azione sulla personalità è utile per favorire l'estroversione e la concentrazione.

Sugli organi invece agisce sul sistema epatico e digestivo, su milza, vescica, ed aiuta a regolarizzare la frequenza del battito cardiaco e la pressione arteriosa. Sembra sia utile a mantenere in salute il sistema linfatico. Efficace anche per coloro che soffrono di disturbi alimentari.

Il colore giallo come aiuto terapeutico può essere utilizzato per incoraggiare le persone con un carattere introverso e timoroso ad acquisire una maggiore apertura nei confronti del mondo esterno.

Il colore giallo è invece controindicato nel caso di personalità troppo egocentriche e con la tendenza a prevaricare gli altri.

Colore giallo e terzo chakra


Al colore giallo è associato il terzo chakra, Manipura. La teoria della medicina olistica sostiene che in ogni organismo umano ci sono dei centri di energia che sovraintendono a determinate funzioni per il benessere dell'organismo. Il terzo chakra, del colore giallo, è situato nei pressi del plesso solare, tra ombelico e sterno. Il suo campo d'azione è nei confronti di milza, intestino tenue, cistifellea, pancreas, denti, unghie, fegato, stomaco.
Il terzo chakra è anche il centro dell'ego e quindi agisce nei riguardi della volontà, del potere e dell'affermazione personale.
Quando questo chakra non è in equilibrio si possono avere patologie quali ulcere o gastriti, problemi ai denti, depressione, iperattività o egocentrismo.

Sul piano fisico l’insorgenza dei conflitti emozionali legati al chakra giallo danno luogo a manifestazioni quali: sensazione di vomito, gastriti, acidità, rigurgiti e sonnolenza, crampi, mal di stomaco. Nella maggior parte dei casi essi trovano una rapida soluzione anche in assenza di specifiche cure, tuttavia anche se considerati sintomi variabili che non indicano una patologia specifica, devono essere valutati sotto il profilo psico-emotivo che senz’altro in questo caso evidenzierà emozioni conflittuali collegati all’attività mentale di ogni individuo relative alle percezioni del potere, al controllo, alla libertà ed alla facilità o meno di essere noi stessi.

Narciso: La versione ellenica


La versione ellenica del mito appare come una sorta di racconto morale in cui il superbo e insensibile Narciso viene punito dagli dèi per aver respinto tutti i suoi pretendenti di sesso maschile e, in un certo qual senso, lo stesso Eros. Il racconto è quindi pensato come una storia di ammonimento rivolto ai giovani. 

Fino a poco tempo fa le due fonti per questa versione del mito erano un compendio delle opere di Conone, un greco contemporaneo di Ovidio, conservato nella Bibliotheca di Fozio e un brano di Pausania, vissuto circa 150 anni dopo Ovidio. Un racconto molto simile è stato però scoperto nel 2004 tra i papiri di Ossirinco, che si crede messi per iscritto da Partenio. Questa versione precede quella di Ovidio di almeno cinquant'anni.

Il mito greco narra che Narciso aveva molti innamorati, che lui costantemente respingeva fino a farli desistere. Solo un giovane ragazzo, Aminia, non si dava per vinto, tanto che Narciso gli donò una spada perché si uccidesse. Aminia, obbedendo al volere di Narciso, si trafisse l'addome davanti alla sua casa, avendo prima invocato gli dei per ottenere una giusta vendetta. 

La vendetta si compì quando Narciso, contemplando in una fonte la sua bellezza, restò incantato dalla sua immagine riflessa, innamorandosi perdutamente di se stesso. Completando la simmetria del racconto, preso dalla disperazione e sopraffatto dal pentimento, Narciso prese la spada che aveva donato ad Aminia e si uccise trafiggendosi il petto. Dalla terra sulla quale fu versato il suo sangue, si dice che spuntò per la prima volta l'omonimo fiore.

Nicolas Poussin, Eco e Narciso (ca. 1629-1630), Museo del Louvre a Parigi.

Narciso: La versione romana


Nel racconto narrato da Ovidio, probabilmente basato sulla versione di Partenio, ma modificata al fine di aumentarne il pathos, Eco, una ninfa dei monti, si innamorò di un giovane vanitoso di nome Narciso, figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e della ninfa Liriope. Cefiso aveva circondato Liriope con i suoi corsi d'acqua e, così intrappolata, aveva sedotto la ninfa che diede alla luce un bambino di eccezionale bellezza. Preoccupata per il futuro del bimbo, Liriope consultò il profeta Tiresia il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia, “se non avesse mai conosciuto se stesso.” 

Quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età, era un giovane di tale bellezza che ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, si innamorava di lui, ma Narciso, orgogliosamente, li respingeva tutti. Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco furtivamente seguì il bel giovane tra i boschi desiderosa di rivolgergli la parola, ma incapace di parlare per prima perché costretta a ripetere sempre le ultime parole di ciò che le veniva detto; era stata infatti punita da Giunone perché l'aveva distratta con dei lunghi racconti mentre le altre ninfe, amanti di Giove, si nascondevano.

Narciso, quando sentì dei passi, gridò: “Chi è là?”, Eco rispose: “Chi è là?” e così continuò, finché Eco non si mostrò e corse ad abbracciare il bel giovane. Narciso, però, allontanò immediatamente in malo modo la ninfa dicendole di lasciarlo solo. Eco, con il cuore infranto, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase solo la voce. 

Nemesi, ascoltando questi lamenti, decise di punire il crudele Narciso. Il ragazzo, mentre era nel bosco, si imbatté in una pozza profonda e si accucciò su di essa per bere. Non appena vide per la prima volta nella sua vita la sua immagine riflessa, si innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che fosse lui stesso. Solo dopo un po' si accorse che l'immagine riflessa apparteneva a lui e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell’amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente; si compiva così la profezia di Tiresia.

Quando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo funebre, al suo posto trovarono un fiore a cui fu dato il nome narciso. Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per entrare nell'Oltretomba, si affacciò sulle acque limacciose del fiume, sperando di poter ammirare ancora una volta il suo riflesso.

Narcissus di Paul Dubois, Museo del Louvre.

Incontri


Graciela Rodo Aparicio (nato nel 1935 a La Paz) è un pittore boliviana. Il suo amore per l'arte è stato influenzato da sua madre, una pianista, e suo padre, un uomo d'affari e l'arte conoscitore. Ha studiato musica e l'arte in tutta la sua infanzia, dando il suo primo recital di pianoforte all'età di 15 anni, e le sue prime mostre d'arte a Vienna e Salisburgo all'età di 18 anni perseguire il suo sogno di essere sia un grande artista e musicista, Rodo presto scoperto che il tempo non sarebbe permettere la devozione necessaria per entrambe le sue passioni. A 22 anni, ha girato tutta la sua energia alla pittura. Ha studiato incisione e incisione insieme a René Carcan sotto Johnny Friedlaender a Parigi. Ha sposato un francese, Boulanger, in modo che il suo nome è diventato pubblico Graciela Rodo Boulanger. Nel 1966, la sua ambizione artistica inizia a realizzarsi quando pubblica il suo primo edizioni di incisioni e il primo esposto negli Stati Uniti. Nel 1979, l'UNICEF ha designato il suo artista ufficiale per l'Anno Internazionale del manifesto Bambino, e due dei suoi arazzi sono stati presentati nella sala dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il Museo d'Arte Moderna di Latina, a Washington, DC, ha dato una retrospettiva della sua opera nel 1983. Nel 1986, il Metropolitan Opera di New York ha commissionato il suo manifesto per Il flauto magico di Mozart, ed i suoi dipinti sono stati mostrati dalla Galleria d'Arte del Lincoln center. Nel 1993, la Federazione Mondiale delle Associazioni delle Nazioni Unite ha scelto uno dei suoi dipinti per illustrare sia un timbro e una stampa in edizione limitata a specie in pericolo. Più di 150 mostre di opere dell'artista Graciela Rodo Boulanger si sono svolte nei cinque continenti del globo.

LA GRANDE ABBUFFATA di Fiorenzo Barzanti

‘’ Zvanin u sé inviè ‘’ (Giovannino se n’è andato, è morto). ‘’ L’Idina la iè in chev e caudel’’ (La Idina è ammalata ed è arrivata quasi alla fine). A questo punto il gruppetto di persone che ascoltava cominciò a disperdersi ed il povero Dolfo rimase solo. Il primo ad allontanarsi fu Sergio dicendo ‘’me am toc i marun’’ (io mi tocco le parti basse per scaramanzia). Disse Ubaldo: ‘’Tul in te sac’’ (prendilo in quel posto) e fuggì precipitosamente. Chissà perché ma la scena si ripeteva sempre. Quando il contadino Dolfo incontrava amici, parenti o conoscenti non faceva altro che parlare solo di disgrazie e malattie quasi non avesse altri argomenti. Se ci fate caso anche oggi esiste almeno uno fra i vostri conoscenti che si comporta così e non vi rimane altro che evitarlo. Ora prego il regista di allargare la scena. Quel gruppetto di persone ormai dissolto era uno dei tanti che si trovavano in quel grande piazzale. Siamo all’inizio degli anni 60 e ci troviamo a Montenovo bel paesino sulle colline di Cesena che gode di una splendida vista sul mare. Per una volta sono in trasferta dalla mia San Tommaso. Ci troviamo esattamente nel castello di Montenovo dove c’è un ristorante. Stanno arrivando circa una cinquantina di persone, tutti parenti, per festeggiare con una ‘’mangiata’’ un grande evento. Sono undici dei 12 fratelli e sorelle (uno non c’è più). Hanno dai 40 ai 50 anni. Sono presenti ovviamente anche le mogli, i mariti ed i figli. Provengono da paesi diversi: da San Tommaso, da Casale, da Cesena, da Ravenna, una sorella addirittura da Milano. Quelli di Ravenna si sono trasferiti nel dopoguerra quando c’è stata la grande migrazione dei contadini dalle colline cesenati alle industrie ravennati. Quel luogo ha un significato particolare perché i loro genitori sono nati a Montenovo ed esattamente nella località ‘’Funtanaza’’ ed erano soprannominati ‘’Fideil’’. Una sorella è suora e missionaria in Africa ed ogni 5 anni torna in Italia per due mesi visitando i vari fratelli e sorelle. Per l’occasione è stata organizzato quel ritrovo nel castello di Montenovo per ricordare il luogo delle origini. Per altro, il ristoratore è un loro parente ed ha un particolare occhio di riguardo per il prezzo e per l’abbondanza dei cibi. Tutti sono ‘’sforbiti’’ e vi garantisco che osservare i contadini vestiti a festa è uno spettacolo bellissimo. Alcuni non si incontrano da molto tempo ed ognuno che arriva viene accolto dagli altri con una grande ‘’aududa’’ (festa). Si dividono in gruppi e gli argomenti per parlare non mancano: la salute, i raccolti, i pettegolezzi, i complimenti, i bambini. Si parla anche di politica perché quella grande famiglia è in parte comunista ed in parte democristiana. I toni sono comunque scherzosi. In un angolo la Pia che è una sorella da gli ultimi ragguagli al marito: ‘’ comportati bene, non fare il chiacchierone e non parlare di religione’’. Il brav’uomo è famoso perché dipende totalmente dalla moglie. In tarda età si è convertito alla religione degli Avventisti e per questo si è guadagnato il soprannome di ‘’paganel’’ (paganello che è il pesce che abbocca facilmente). Così ben addestrato si avvia in mezzo agli altri. Vedendolo così vestito bene e tinco gli urlano: ‘’set ingulè e zèss? ’’ (cosa hai ingoiato il gesso?). Era un’espressione che si diceva quando una persona stava impettita che sembrava avere ingoiato il gesso che come si sa solidifica facilmente ed irrigidisce il tubo digerente. In un altro angolo tiene banco ‘’Sandrin ad Bruson’’ (Alessandro della famiglia soprannominata Bruson che vuole dire grande fuoco perché una volta si incendiarono contemporaneamente tutti i pagliai). Parla ad alta voce e fa una specie di comizio, lui che è democristiano. Finalmente arriva una Fiat 600, è il fratello grande con la sorella suora. Suor Adele è una donnina piccola con il volto sempre sorridente e molto umile. E’ la sorella più grande e da piccola andò nel convento a Gambettola per imparare a ricamare. In famiglia c’era quindi una bocca in meno da sfamare ma diventò veramente suora. E’ in Africa dal dopoguerra ed insegna alle orfanelle a cucire e a lavorare a maglia. Scatta un grande applauso e tutti chiedono e vogliono sapere. Lei ama parlare ancora in dialetto e vuole ricordare i vecchi tempi. Si vede dai suoi occhi che è felice di fare la missionaria. E’ ora, tutti si dispongono attorno al lungo tavolo e le libagioni possono iniziare. E’ bene sapere che i contadini non andavano quasi mai al ristorante, i pranzi matrimoniali si facevano ancora nelle case. Inoltre l’antipasto era ancora un egregio sconosciuto. Ecco perché quel piattino che ognuno si trova davanti contenente due fette di salame, un carciofino sott’olio e tre olive in salamoia lascia perplessi molti. La suora è a capotavola e prima di iniziare invita tutti a frasi il segno della croce. I camerieri portano una piccola ciotola con alcuni ‘’passatelli’’. Si tratta del ‘’consommé’’ che ovviamente nessuno ha sentito mai nominare. Dice forte Sandrin: ‘’purta olta cla iè cota’’ (porta pure che sono cotti.). Scoppia l’applauso. Infatti sembrava un piccolo assaggio per capire se i passatelli erano cotti, invece erano tutti li. Per fortuna il resto non delude. Ravioli al ragù, cappelletti in brodo, coniglio arrotolato, grigliata di costolette e salsicce. C’è anche la frutta ma nessuno la mangia perché i contadini sono abituati a mangiarla mentre la raccolgono, mai a tavola. Il sangiovese scorre a fiumi. La suora guarda divertita anche perché ha assaggiato solo i passatelli e due cappelletti. Alcuni hanno mangiato troppo e quasi scoppiano. Le giacche sono sulle sedie, le camicie sbottonate, alcune pance prominenti sembrano uscite dalla camicia di forza. ‘’ Purtil for cu iè avnù mel’’ (portatelo fuori che gli è venuto male). In realtà è un cugino che è quasi ubriaco e quando gli succede inizia a lamentarsi come un bambino. Una volta fuori, risolve il problema la moglie versandogli una bottiglia d’acqua in testa.
Nota: mia mamma era una delle sorelle e la suora era mia zia. Io ero un bambino che ho i vaghi ricordi che vi ho descritti. Alcuni nomi sono di fantasia.

La vita contadina - Si stava meglio quando si stava peggio!


Dal 1910 al 1960, nelle nostre campagne i contadini erano mezzadri cioè lavoravano i campi e dividevano a metà i prodotti con il padrone, il proprietario della casa e dei poderi.La casa non era lussuosa e ben curata come quella di oggi.La stanza più grande era la cucina dove c'era un grande focolare intorno al quale si riuniva la famiglia numerosa, composta dal capoccia, dalla vergara (la moglie del capoccia), da tanti figli sposati e non.Il camino serviva per riscaldarsi e per cucinare.Appeso al catenaccio c'era il caldaio per cuocere la polenta, la pasta, le erbe di campo....
Il pane si faceva in casa con la farina e spesso si andava al mulino a macinare il grano.In un letto dormivano più persone e i materassi erano di crini o di foglie di granoturco.Vicino alla camera c'era il magazzino dove si tenevano i cereali.Sotto casa c'era la cantina, la stalla, l'ovile, il pollaio.In cantina, oltre al vino, all'olio e all'aceto, c'erano i salami, le salsicce, i prosciutti, i formaggi...
In casa non c'era n'è luce elettrica n'è acqua corrente.Il gabinetto era fatto di canne ed era fuori situato fuori.Di notte si usava l'orinale per fare i bisogni.L'acqua per fare da mangiare e per lavarsi si prendeva con l'orcio alla fonte.Per fare luce si usavano le candele, l'acetilene (lume a carburo) e il lume a petrolio.A volte, d'inverno si faceva il bagno in una tinozza vicino al focolare o nella stalla perchè, grazie agli animali, c'era più tepore. D'estate si faceva anche all'aperto.Nelle stalle, d'inverno, gli uomini intrecciavano i cesti con il vimini, costruivano attrezzi...
Le donne facevano il bucato una volta al mese usando la cenere e il sapone fatto in casa.Molte praticavano il mestiere della lavandaia.I vestiti erano semplici, confezionati in casa: con la lana, la canapa, il cotone. I più fortunati avevano il vestito della festa che si indossava soltanto per andare a Messa o in occasione di feste particolari.Quando si rompevano si riattoppavano.Le donne tessevano al telaio la canapa coltivata nei campi.Le ragazze si preparavano la dote: lenzuola, asciugamani, grembiuli....
Molti contadini allevavano anche i bachi da seta e portavano i bozzoli alla filanda per estrarre la preziosa seta.Si andava in giro scalzi o con gli zoccoli di legno.Se c'era un paio di scarpe si conservava per le feste e si portavano ad aggiustare dal calzolaio.Le donne non portavano n'é pantaloni, n'é collant.Negli anni 1930 sono arrivate le prime automobili (Balilla 1934, Topolino 1936....), ma se le potevano permettere in pochi!!
Negli anni '50 si vedevano passare alcune moto e negli anni '60 uscì la mitica VESPA.A scuola gli insegnanti erano molto severi e davano punizioni anche dolorose (tirate di orecchie, bacchettate sulle mani, le ginocchia sopra il granoturco)....
Erano molti i bocciati e pochi frequentavano oltre la terza elementare.Si scriveva con il pennino e l'inchiostro.Prima di iniziare la lezione si recitava la preghiera, poi si passava all'ispezione dell'igiene personale.D'inverno si portava la legna per la stufa e la maestra aveva il suo scaldino con la brace.La sera, prima di andare a letto, i bambini chiedevano la Santa Benedizione e i genitori rispondevano: "Dio ti benedica".Il tempo per giocare era scarso perchè anche i bambini aiutavano i grandi nel lavoro dei campi e nell'accudire le bestiole.I giochi più comuni erano: la ruzzola, la corda, la campana, il sassetto, la crocetta, la buchetta, nascondino....I grandi ballavano al suono dell'organetto e della fisarmonica.Cantavano serenate alle ragazze e i dispetti.


FRANCESCO PROCOPIO DEI COLTELLI IL SICILIANO CHE INVENTO' IL SORBETTO E CONQUISTO' PARIGI



Nel 1686 il Café Le Procope il più antico caffè d'Europa.vicino al Théâtre de la Comédie-luogo di ritrovo per gli attori e i personaggi che gravitavano attorno al mondo dello spettacolo fu rilevato dal ristoratore italiano di Acitrezza (CA) Sicilia emigrato a Parigi Francesco Procopio dei Coltelli -, emigrato a Parigi nella seconda metà del Seicento che gli diede il nome.

IL Café ebbe enorme successo grazie all'invenzione che rese famoso il suo fondatore, il sorbetto (progenitore del gelato odierno)

Quel Café offriva: acque gelate (la granita), gelati di frutta, fiori d'anice, fiori di cannella, frangipane, gelato al succo di limone, gelato al succo d'arancio, sorbetto di fragola, in base a una patente reale (una concessione) con cui Luigi XIV aveva dato a Procopio l'esclusiva di quei dolci. Diventò il più famoso luogo di ritrovo francese.

Fu di gran moda nel Settecento e nell'Ottocent .Ancora oggi è uno dei luoghi più noti di Parigi.


Di tutto un po' #351


L'invidia è forma negativa di ammirazione, una gran brutta bestia che fa del male a chi la esprime, prima ancora che ai destinatari. Perché è una forma di masochismo. Le persone invidiose non hanno una vita propria, ma vivono di riflesso quella degli altri, che riescono a fare meglio di loro. Vivono male perché soffrono per il loro successo e fanno di tutto per sminuirlo, per infangarlo. Non si limitano a guardare la luce altrui, vorrebbero spegnerla. E per cercare di farlo sono disposti a bruciarsi le dita...
-- Agostino Degas

Leggenda interessante!! ♥



In una calda notte di luglio di tanto tempo fa un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non posso.
In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o danzava tra esse, armoniosa e lieve.
Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati. In breve arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto infastidita da tutto quel baccano, gli chiese:
Cos’hai da urlare tanto? Perché non la smetti almeno per un po’?
Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della mia cucciolata. Sono disperato… aiutami! – rispose il lupo.
La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi. E si gonfio, si gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima palla.
– Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto – disse, dolcemente partecipe, al lupo in pena.
Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di un precipizio. Con un gran balzo il padre afferrò il figlio, lo strinse forte forte a sé e, felice ed emozionato, ma non senza aver mille e mille volte ringraziato la luna. Poi sparì tra il folto della vegetazione.
Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un bellissimo regalo: ogni trenta giorni può ridiventare tonda, grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo splendore.
I lupi lo sanno… E ululano festosi alla luna piena...


Se innamorarsi è un istante, amarsi è una vita.


Se innamorarsi è un istante, amarsi è una vita. 
Prendendosi cura a vicenda, 
senza mai darsi per scontati,
appartenendosi reciprocamente 
ma senza avere la pretesa di possedersi.
Vivendo anche la quotidianità con curiosità
e senso di meraviglia, 
accettando che col tempo la passione 
si trasformi in tenerezza. 
Vivendo sereni e cogliendo istanti felici. 
Capendosi anche senza parlare, 
con sguardi e abbracci.
Con tanta fiducia, complicità e pazienza,
con infinito rispetto e amore...
-- Agostino Degas


Di tutto un po' #350


Non so esattamente cosa spinga due persone a legarsi. Forse la sintonia, forse le risate, forse le parole. Probabilmente, l'incominciare a condividere qualcosa in più, a parlare un po' di se, a scoprire pian piano quel che il cuore cela. Imparare a volersi bene, ad accettarsi per i difetti, i pregi, per le arrabbiature e le battute. O forse accade perché doveva accadere. Perché le anime son destinate a trovarsi, prima o poi... 
-- P. Coelho 


venerdì 17 giugno 2016

A proposito di mariti "che aiutano" le mogli.


Un mio amico viene da me a prendere il caffè, ci sediamo e chiacchieriamo, parlando della vita... 

"Vado un attimo a lavare i piatti rimasti nel lavabo", gli dico. 

Lui mi guarda come se gli avessi detto che sto per costruire un'astronave. 

Mi dice ammirandomi, ma anche un po' perplesso: 

"Buon per te che aiuti tua moglie, quando lo faccio io, mia moglie non lo apprezza. Ho lavato in terra l'altra settimana, neanche un grazie."

Sono tornato a sedermi con lui e gli ho spiegato che io non aiuto mia moglie.

Come regola, mia moglie non ha bisogno di aiuto, ha bisogno di un socio.

Io sono un socio in casa e per via di questa società vengono divise le mansioni ma di certo non si tratta di un supporto nella casa.

Io non aiuto mia moglie a pulire casa, perché ci abito anch'io e bisogna che pulisca anch'io.

Io non aiuto mia moglie a cucinare, perché anch'io voglio mangiare e bisogna che cucini anch'io.

Io non aiuto mia moglie a lavare i piatti dopo cena, perché ho usato questi piatti anch'io.

Io non aiuto mia moglie con i figli, perché sono anche figli miei ed è il mio ruolo essere padre e genitore.

Io non aiuto mia moglie a stendere o piegare i panni, perché sono anche vestiti miei e dei miei figli.

Io non sono un aiuto in casa, sono parte della casa.

E per quanto riguarda l'apprezzare, gli ho chiesto quando è stata l'ultima volta che, dopo che lei ha finito di pulire casa, fare il bucato, cambiare lenzuola ai letti, fare la doccia ai figli, cucinare, organizzare etc. le ha detto grazie? Ma un grazie del tipo: wow!!! Moglie mia! Sei fantastica!!!

Ti sembra assurdo? Ti sembra strano?

Quando tu, una volta al secolo hai pulito per terra, ti aspettavi come minimo un premio d'eccellenza con tanto di gloria e pubbliche relazioni...

Perché? Ci hai mai pensato, amico? Forse perché per te è scontato che tutto ciò sia compito suo? Forse ti sei abituato che tutto questo viene fatto senza che tu debba alzare un dito?

Allora apprezza come vorresti essere apprezzato tu, nella stessa maniera e intensità. Porgi una mano, comportati da vero compagno, non come un ospite che viene solo a mangiare, dormire, lavarsi...

Sentiti a casa, a casa tua.

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