domenica 27 novembre 2016

ARTE: #BellissimePitture33


Dipinto di Andre Kosslick

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Giacomo Leopardi - L'Infinito

ARTE: #BellissimePitture32

Dipinto di Mario Galanti

Tramonto

Oggi alla fine del giorno
il tramonto posò le sue perle
sui fini e nerì capelli della sera
ed io le ho nascoste
come una collana senza filo
dentro il cuore.
Nel silenzio il cigno dorme .
sulla riva destra del fiume
e questo tramonto
attraverso il cielo luminoso di stelle
è venuto a toccare
la mia umile fronte:
sopra queste acque tacite e calme
ha iniziato la traversata tra astri e stelle:
ha steso
il suo manto d'oro
sulla soglia della notte
che dorme tranquilla:
e infine lungo le vie dell'arsa,
sopra il carro di un nero destriero
s'allontanerà facendo scintille:
ha lasciato soltanto un tocco
sulla fronte di un poeta.
Nel tuo infinito mai s'era visto
un tramonto così,
né più ritornerà.

Rabindranath Tagore - Tramonto

ARTE: #BellissimePitture31

Dipinto di Andre Kosslick

Stele solitaria a fronte all’orizzonte stai. Ad ogni alba segue un lungo giorno, dove scruti e rimiri la natura e il mare, che nelle tante ore ti tiene compagnia. Ti porge doni di salsedine e spruzzi salmastri che dai fondi giacigli portano fino a te profumi lontani. Presto è notte, la tua esile sagoma scompare nel buio come inghiottita, solo allora d’un tratto come un astro risplendi e la tua luce bianca s’aggira lenta per le vie del mare, si posa sull’onde e sugli scogli indica la strada giusta a chi nell’ora tarda va per mare. Sentinella, accompagni i naviganti ad un felice ritorno e mai ti spegni fino all’alba nuova.


Il Faro - dal web

L'Avvento


L'avvento è presente negli anni liturgici della Chiesa cattolica, della Confessione luterana e della Comunione anglicana. In tutte le confessioni questo periodo è contraddistinto da un atteggiamento di attesa del Natale imminente da parte dei fedeli e dal raccoglimento e dalla preghiera per l'accoglienza del Messia di cui si rivive spiritualmente la nascita.

Rito romano 

Nel rito romano della Chiesa cattolica l'Avvento contiene quattro domeniche e può durare quattro settimane. Si compone di due periodi; inizialmente si guarda all'Avvento futuro del Cristo nella gloria alla fine dei tempi, occasione di penitenza; dal 17 dicembre la liturgia pone invece l'attenzione sull'Avvento di Cristo nella pienezza dei tempi, con la sua Incarnazione.

In avvento il colore dei paramenti sacri del sacerdote è il viola, tranne la domenica della terza settimana in cui facoltativamente possono essere indossati paramenti rosa. Questa domenica infatti è chiamata Gaudete, a motivo dell'antifona di ingresso della messa, che riporta un passo della Lettera ai Filippesi in cui Paolo invita alla gioia: «Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino.»; il carattere penitenziale dell'Avvento è dunque stemperato dalla speranza della venuta gloriosa di Cristo.

Nella liturgia delle Sante Messe del periodo di avvento (come in quaresima) non viene recitato l'inno del Gloria. Dal 29 novembre al 7 dicembre è tradizione celebrare, in molte chiese latine, la Novena dell'Immacolata cui fa seguito, dal 16 al 24 dicembre, la Novena di Natale.

Domeniche di Avvento 

I nomi tradizionali delle domeniche di avvento sono tratti dalle prime parole dell'introito. Nelle prime tre settimane derivano dal salmo 25, 80 e 85 e nella quarta dal libro di Isaia (45,8)

domenica d'avvento: Ad te levavi (Ad te levavi animam meam)
domenica d'avvento: Populus Sion (Populus Sion, ecce Dominus veniet ad salvandas gentes)
domenica d'avvento: Gaudete (Gaudete in Domino semper cioè "Rallegratevi nel Signore sempre")
domenica d'avvento: Rorate (Rorate, coeli desuper, et nubes pluant iustum). è anche la domenica della Madonna che fa visita a santa Elisabetta

Introito della IV domenica d'Avvento

Biancaneve


C’era una volta, in uno splendido castello, una regina che stava cucendo seduta davanti a una finestra, dalla cornice d’ebano. Era pieno inverno e leggeri fiocchi di neve cadevano dal cielo. E così, cucendo e alzando gli occhi per guardar la neve, si punse un dito, e caddero nella neve tre gocce di sangue. Il rosso era così bello su quel candore, ch’ella pensò: “Mi piacerebbe avere una bambina con la carnagione bianca come la neve, con la bocca e le guance rosse come il sangue e dai capelli neri come il legno della finestra!“

Poco dopo diede alla luce una figlioletta bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come l’ebano; e la chiamarono Biancaneve.
Purtroppo quando Biancaneve nacque, la regina morì.
Dopo un anno il re prese un’altra moglie; era bella, ma superba e prepotente, e non poteva sopportare che qualcuno la superasse in bellezza.

Aveva uno specchio magico, e nello specchiarsi diceva:
- Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?
E lo specchio rispondeva: Nel regno, Maestà, tu sei quella.
Ed ella era contenta, perché sapeva che lo specchio diceva la verità.
Ma Biancaneve cresceva, diventava sempre più bella, era bella come la luce del giorno e ancor più della regina.
Una volta che la regina chiese allo specchio:
- Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?
lo specchio rispose: - Regina, la più bella qui sei tu, ma Biancaneve lo è molto di più.
La regina allibì e diventò verde e gialla d’invidia.
Da quel momento la vista di Biancaneve la sconvolse, tanto ella la odiava.
E invidia e superbia crebbero come le male erbe, così che ella non ebbe più pace né giorno né notte.
Allora chiamò un cacciatore e disse:
- Porta la fanciulla nel bosco, non la voglio più vedere. Uccidila, e mostrami i polmoni e il fegato come prova della sua morte -.
Il cacciatore obbedì e la condusse lontano; ma quando estrasse il coltello per trafiggere il suo cuore innocente, ella si mise a piangere e disse:
- Ah, caro cacciatore, lasciami vivere! Correrò nella foresta selvaggia e non tornerò mai più -. 
Ed era tanto bella che il cacciatore disse, impietosito:
- Và, pure, povera fanciulla-. “Le bestie feroci faranno presto a divorarti”, pensava; ma sentiva che gli si era levato un gran peso dal cuore, a non doverla uccidere.
E siccome proprio allora arrivò di corsa un cinghialetto, lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò alla regina come prova.
Il cuoco dovette salarli e cucinarli, e la perfida li mangiò, credendo di mangiare i polmoni e il fegato di Biancaneve.
Ora la povera fanciulla era tutta sola nel gran bosco e aveva tanta paura che badava anche alle foglie degli alberi e non sapeva che fare.
Si mise a correre e corse sulle pietre aguzze e fra le spine; le bestie feroci le passavano accanto, ma senza farle alcun male.
Corse finché le ressero le gambe; era quasi sera, quando vide una casettina ed entrò per riposarsi.
Nella casetta tutto era piccino, ma lindo e leggiadro oltre ogni dire.
C’era una tavola apparecchiata con sette piattini: ogni piattino col suo cucchiaino, e sette coltellini, sette forchettine e sette bicchierini.

Lungo la parete, l’uno accanto all’altro, c’eran sette lettini, coperti di candide lenzuola.
Biancaneve aveva tanta fame e tanta sete, che mangiò un po’ di verdura con pane da ogni piattino, e bevve una goccia di vino da ogni bicchierino, perché non voleva portar via tutto a uno solo.
Poi era così stanca che si sdraiò in un lettino ma non ce n’era uno che andasse bene: o troppo lungo o troppo corto, troppo duro o troppo morbido.. Giunta al settimo era talmente sfinita che si buttò di traverso su tutti e sette i lettini e si addormentò.
Quando fu buio, arrivarono i padroni di casa: erano i sette nani, che scavavano oro e diamanti dai monti.
Accesero le loro sette candeline e, quando la casetta fu illuminata, videro che era entrato qualcuno; perché non tutto era in ordine, come l’avevan lasciato.
Il primo disse:
- Chi si è seduto sulla mia seggiolina?-
Il secondo: – Chi ha mangiato dal mio piattino?-
Il terzo: – Chi ha preso un po’ del mio panino?-
Il quarto: – Chi ha mangiato un po’ della mia verdura?-
Il quinto: – Chi ha usato la mia forchettina?-
Il sesto: – Chi ha tagliato col mio coltellino?-
Il settimo: – Chi ha bevuto dal mio bicchierino?-
Poi il primo si guardò intorno, vide che il suo letto era un po’ ammaccato e disse:
- Chi mi ha schiacciato il lettino?-
Gli altri accorsero e gridarono: – Anche nel mio c’è stato qualcuno -.
Ma il settimo scorse nel suo letto Biancaneve addormentata.
Chiamò gli altri, che accorsero e gridando di meraviglia presero le loro sette candeline e illuminarono Biancaneve.
– Ah, Dio mio! ah, Dio mio! – esclamarono: – Che bella fanciulla! –
Ed erano così felici che non la svegliarono e la lasciarono dormire nel lettino.
Il settimo nano dormì coi suoi compagni, un’ora con ciascuno; e la notte passò.
Al mattino, Biancaneve si svegliò e s’impaurì vedendo i sette nani.
Ma essi le chiesero gentilmente: – Come ti chiami?- Mi chiamo Biancaneve,- rispose. – Come sei venuta in casa nostra?- dissero ancora i nani.
Ella raccontò che la sua matrigna voleva farla uccidere, ma il cacciatore le aveva lasciato la vita ed ella aveva corso tutto il giorno, finchè aveva trovato la casina.
I nani dissero: – Se vuoi curare la nostra casa, cucinare, fare i letti, lavare, cucire e far la calza, e tener tutto in ordine e ben pulito, puoi rimanere con noi, e non ti mancherà nulla.
– Sì,- disse Biancaneve,- di gran cuore-. E rimase con loro.
Teneva in ordine la casa; al mattino essi andavano nei monti, in cerca di minerali e d’oro, la sera tornavano, e la cena doveva essere pronta. Di giorno la fanciulla era sola. I nani l’ammonivano affettuosamente, dicendo:
- Guardati dalla tua matrigna; farà presto a sapere che sei qui: non lasciar entrare nessuno. Ma la regina, persuasa di aver mangiato i polmoni e il fegato di Biancaneve, non pensava ad altro, se non ch’ella era di nuovo la prima e la più bella; andò davanti allo specchio e disse:
- Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?
E lo specchio rispose: – Regina, la più bella qui sei tu; ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più.
La regina inorridì, perché sapeva che lo specchio non mentiva mai, e si accorse che il cacciatore l’aveva ingannata e Biancaneve era ancora viva.
E allora pensò di nuovo come fare ad ucciderla: perché, s’ella non era la più bella di tutto il paese, l’invidia non le dava pace.

Pensa e ripensa, finalmente si tinse la faccia e si travestì da vecchia merciaia, in modo da rendersi del tutto irriconoscibile. Così trasformata, passò i sette monti, fino alla casa dei sette nani, bussò alla porta e gridò:
- Roba bella, chi compra! chi compra!- Biancaneve diede un’occhiata dalla finestra e gridò:
- Buon giorno, brava donna, cos’avete da vendere?
– Roba buona, roba bella,- rispose la vecchia,- stringhe di tutti i colori -. E ne tirò fuori una, di seta variopinta.
“Questa brava donna posso lasciarla entrare”, pensò Biancaneve; aprì la porta e si comprò la bella stringa.
– Fanciulla, – disse la vecchia,- come sei conciata! Vieni, per una volta voglio allacciarti io come si deve-.
La fanciulla le si mise davanti fiduciosa e si lasciò allacciare con la stringa nuova: ma la vecchia strinse tanto e così rapidamente che a Biancaneve mancò il respiro e cadde come morta.
– Ormai lo sei stata la più bella,- disse la regina, e corse via.
Presto si fece sera e tornarono i sette nani: come si spaventarono, vedendo la loro cara Biancaneve stesa a terra, rigida, come se fosse morta!
La sollevarono e, vedendo che era troppo stretta alla vita, tagliarono la stringa.
Allora ella cominciò a respirare lievemente e a poco a poco si rianimò.
Quando i nani udirono l’accaduto, le dissero:
- La vecchia merciaia altri non era che la scellerata regina; sta’ in guardia, e non lasciar entrare nessuno, se non ci siamo anche noi.
Ma la cattiva regina, appena arrivata a casa, andò davanti allo specchio e chiese:
- Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?
Come al solito, lo specchio rispose:
- Regina, la più bella qui sei tu; ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più.
A queste parole, il sangue le affluì tutto al cuore dallo spavento, perché vide che Biancaneve era tornata in vita.
“Ma adesso,. pensò,- troverò qualcosa che sarà la tua rovina”; e, siccome s’intendeva di stregoneria, preparò un pettine avvelenato. Poi si travestì e prese l’aspetto di un’altra vecchia. Passò i sette monti fino alla casa dei sette nani, bussò alla porta e gridò:
- Roba bella! roba bella! –
Biancaneve guardò fuori e disse:
- Andate pure, non posso lasciar entrare nessuno.
– Ma guardare ti sarà permesso,- disse la vecchia; tirò fuori il pettine avvelenato e lo sollevò.
Alla fanciulla piacque tanto che si lasciò sedurre e aprì la porta.
Conclusa la compera, la vecchia disse:
- Adesso voglio pettinarti per bene-.
La povera Biancaneve, di nulla sospettando, lasciò fare; ma non appena quella le mise il pettine nei capelli, il veleno agì e la fanciulla cadde priva di sensi.
– Portento di bellezza!- disse la cattiva matrigna: – è finita per te!- e se ne andò.
Ma per fortuna era quasi sera e i sette nani stavano per tornare. Quando videro Biancaneve giacer come morta, sospettarono subito della matrigna, cercarono e trovarono il pettine avvelenato; appena l’ebbero tolto, Biancaneve tornò in sé e narrò quel che era accaduto.
Di nuovo l’ammonirono che stesse in guardia e non aprisse la porta a nessuno.
A casa, la regina si mise allo specchio e disse:
- Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?
Come al solito, lo specchio rispose:
- Regina, la più bella qui sei tu; ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più.
A tali parole, ella rabbrividì e tremò di collera.
– Biancaneve morirà,- gridò,- dovesse costarmi la vita -.
Andò in una stanza segreta dove non entrava nessuno e preparò una mela velenosissima.
Di fuori era bella, bianca e rossa, che invogliava solo a vederla; ma chi ne mangiava un pezzetto, doveva morire.
Quando la mela fu pronta, ella si tinse il viso e si travestì da contadina, e così passò i sette monti fino alla casa dei sette nani.

Bussò, Biancaneve si affacciò alla finestra e disse:

- Non posso lasciar entrare nessuno, i sette anni me l’hanno proibito.
- Non importa,- rispose la contadina,- le mie mele le vendo lo stesso. Prendi, voglio regalartene una.
- No,- rispose Biancaneve,- non posso accettar nulla.
- Hai paura del veleno?- disse la vecchia.- Guarda, la divido per metà: tu mangerai quella rossa, io quella bianca -.
Ma la mela era fatta con tanta arte che soltanto la metà rossa era avvelenata.
Biancaneve mangiava con gli occhi la bella mela, e quando vide la contadina morderci dentro, non potè più resistere, stese la mano e prese la metà avvelenata.
Ma al primo boccone cadde a terra morta.
La regina l’osservò ferocemente e scoppiò a ridere, dicendo:
- Bianca come la neve, rossa come il sangue, nera come l’ebano! Stavolta i nani non ti sveglieranno più -.
A casa, domandò allo specchio:
- Da muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella ?
E finalmente lo specchio rispose: – Nel regno, Maestà, tu sei quella.
Allora il suo cuore invidioso ebbe pace, se ci può esse pace per un cuore invidioso.
I nani, tornando a casa, trovarono Biancaneve che giaceva a terra, e non usciva respiro dalle sue labbra ed era morta. La sollevarono, cercarono se mai ci fosse qualcosa di velenoso, le slacciarono le vesti, le pettinarono i capelli, la lavarono con acqua e vino, ma inutilmente: la cara fanciulla era morta e non si ridestò. La misero su un cataletto, la circondarono tutti e sette e la piansero, la piansero per tre giorni. Poi volevano sotterrarla; ma in viso, con le sue belle guance rosse, ella era ancora fresca, come se fosse viva. Dissero: – Non possiamo seppellirla dentro la terra nera,- e fecero fare una bara di cristallo, perché la si potesse vedere da ogni lato, ve la deposero e vi misero sopra il suo nome, a lettere d’oro, e scrissero che era figlia di re. Poi esposero la bara sul monte, e uno di loro vi restò sempre a guardia. E anche gli animali vennero a pianger Biancaneve: prima una civetta, poi un corvo e infine una colombella. Biancaneve rimase molto, molto tempo nella bara, ma non imputridì: sembrava che dormisse, perché era bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l’ebano.
Ma un bel giorno capitò nel bosco un principe. Vide la bara sul monte e la bella Biancaneve e lesse quel che era scritto a lettere d’oro.
Allora disse ai nani: – Lasciatemi la bara; in compenso vi darò quel che volete -. Ma i nani risposero: – Non la cediamo per tutto l’oro del mondo
- Regalatemela, allora,- egli disse,- non posso vivere senza veder Biancaneve: voglio onorarla ed esaltarla come la cosa che mi è più cara al mondo.-
A sentirlo, i buoni nani s’impietosirono e gli donarono la bara.
Il principe ordinò ai suoi servi di portarla sulle spalle.
Ora avvenne che essi inciamparono in uno sterpo e per la scossa quel pezzo di mela avvelenata, che Biancaneve aveva trangugiato, le uscì dalla gola.
E poco dopo ella aprì gli occhi, sollevò il coperchio e si rizzò nella bara: era tornata in vita.
-Ah Dio, dove sono?- gridò.
Il principe disse, pieno di gioia: – Sei con me,- e le raccontò quel che era avvenuto, aggiungendo: – Ti amo sopra ogni cosa del mondo; vieni con me al mio castello, sarai la mia sposa-.
Biancaneve acconsentì e andò con lui, e furono ordinate le nozze con gran pompa e splendore.
Ma alla festa invitarono anche la perfida matrigna di Biancaneve. Quando questa si accorse che la bellissima sposa del Principe era Biancaneve, le prese un tale attacco di rabbia e di invidia che morì.

Il leone e il topo

"Piccoli amici possono essere grandi amici"... 
è questo l'insegnamento di questa favola di Esopo.

Una volta, mentre il leone stava dormendo, un topolino cominciò a passeggiare avanti e dietro su di lui. Il leone si svegliò, mise la sua grossa zampa sopra il topolino e aprì la bocca per inghiottirlo. -“Perdono, Maestà!”- gridò il topolino. - “Non l’ho fatto apposta, lasciami andare! Non lo dimenticherò mai e forse un giorno potrei ricambiarti il favore.” Il leone sorrise a quelle parole, ma alzò la zampa e lo lasciò libero.

Qualche tempo dopo il leone fu preso in una trappola, messa dai cacciatori: non riusciva in alcun modo a liberarsi dai lacci. Proprio allora passò di là il topolino che vedendo in quale guaio si trovasse il leone, si avvicinò e rosicchiò la corda che lo teneva legato. -”Non avevo forse ragione?”- esclamò il topolino mentre il leone riacquistava libero la via della selva.

Rapolina

Alcuni la chiamano Raperonzolo, per la Disney è Rapunzel... per noi, come per i Fratelli Grimm, è Rapolina... e questa è la sua storia.

C’erano una volta due sposi che avevano desiderato a lungo un figlio. Finalmente un giorno la donna scoprì di essere in attesa. Dalla loro casa essi potevano vedere uno splendido giardino, pieno dei fiori più belli e dei frutti più rari. Il giardino però apparteneva a una strega molto potente che tutti temevano. Mai nessuno aveva varcato il muro di cinta per paura dei suoi malefici. Un giorno la moglie, mentre stava affacciata alla finestra, vide una magnifica distesa di fiori di rape in un’aiuola. Subito ebbe voglia di mangiarne e, siccome sapeva di non poterli avere , divenne magra e smunta a tal punto che il marito se ne accorse e, spaventato, gliene domandò la ragione. “Ah! Morirò se non riesco a mangiare un po’ di quelle rape che crescono nel giardino dietro casa nostra.” Il marito, che l’amava molto, pensò: “Costi quel che costi, devo riuscire a portargliene qualcuno.” Così una sera scavalcò il muro, colse in fretta una manciata di rape e li portò a sua moglie. La donna preparò subito un’insalata e la mangiò con avidità. Ma il giorno dopo la sua voglia si raddoppiò. L’uomo, per non farla soffrire penetrò ancora una volta nel giardino; ma appena giunse a terra si vide davanti la strega, che incominciò a rimproverarlo per aver osato entrare nel giardino a rubarne i frutti. Egli si scusò come poté, raccontando delle voglie di sua moglie e di come fosse pericoloso negarle qualcosa in quel periodo. La strega disse:” Se le cose stanno così, ti permetterò di portar via quante più rape potrai, ma ad una condizione: dovete darmi il bimbo che sta per nascere! Lo tratterò bene ed avrò cura di lui come una madre.” Impaurito, l’uomo accettò e quando sua moglie partorì una bella bimba, la strega si presentò immediatamente, la prese con sé e le diede il nome di Rapolina.
Rapolina divenne la più bella bambina del mondo, ma appena compì dodici anni, la strega la rinchiuse in una torre altissima, che non aveva scala né porta, ma solo una minuscola finestrella in alto. Quando la strega voleva salirvi, da sotto gridava:-”Rapolina, Rapolina gettami la tua treccina”. La fanciulla infatti aveva capelli lunghi e splendenti come l’oro. Quando la strega chiamava, scioglieva la sua treccia, la fissava ad un ferro della finestra e la lasciava cadere al disotto; e la strega vi si arrampicava.
Un giorno un giovane principe venne a trovarsi nei pressi della torre, udì nell’aria una canzone così dolce che si fermò ad ascoltarla. Voleva arrampicarsi per salire da lei, cercò invano la porta della torre. Triste ritornò al palazzo, ma ogni giorno tornava nel bosco per ascoltare la ragazza. Una volta, mentre si teneva al riparo di un albero, vide la strega che giunta nei pressi della torre gridava:-”Rapolina, Rapolina gettami la tua treccina”. Vide scendere la bionda treccia, e capì che quello era il sistema per salire. Il giorno seguente all’imbrunire si recò alla torre, e come ebbe pronunciato la frase, vide scendere la treccia. Vi si aggrappò saldamente e fu sollevato in alto. Rapolina all’inizio si spaventò, ma ben presto il principe le piacque e insieme decisero che sarebbe venuto tutti i giorni a trovarla.
La strega non si accorse di nulla fino a quando, un giorno Rapolina distratta le disse:-”Come mai faccio più fatica a sollevare voi che il principe?”.La strega, sentendosi tradita, andò su tutte le furie. Afferrò le belle trecce della ragazza e “zic zac”, le tagliò. Non soddisfatta, prese la povera Rapolina e la portò in un deserto, dove dovette vivere tra stenti e dolori. La sera stessa la strega attaccò la treccia alla finestra e quando salì il principe, non trovò la ragazza ma la strega che gli disse che Rapolina era perduta per sempre. Disperato, si gettò giù dalla torre: ebbe salva la vita, ma perse la vista da entrambi gli occhi. Vagò, cieco, per i boschi, nutrendosi di radici e di bacche, piangendo e invocando il suo nome. Passò così qualche anno, finché un giorno giunse nel deserto dove Rapolina viveva misera e infelice. Udì la sua voce e la seguì. Quando fu vicino, Rapolina lo riconobbe, gli buttò le braccia al collo e pianse. Due di queste lacrime d’amore bagnarono gli occhi di lui: come per incanto il principe riprese a vedere come prima. Egli la condusse nel suo regno e da quel momento vissero felici e contenti.

Cenerentola

La più famosa tra le favole di Charles Perrault, da leggere e stampare

C’era una volta un ricco mercante che rimasto vedovo, con una figlia da accudire, decise di risposarsi per non lasciare la piccola senza una mamma. Ma non ebbe fortuna. La nuova moglie si rivelò molto presto dura e scontrosa con la sua dolce figliola, mentre alle due sorellastre, che gli aveva portato in dote, dava carezze e premure. Il pover’uomo non sopportò a lungo questa situazione e ne morì di dispiacere. Subito la matrigna e le sorellastre cominciarono a trattare la povera fanciulla ancor più malamente, affidandole i compiti più sporchi e faticosi; per umiliarla sempre più cominciarono a chiamarla Cenerentola, per via della cenere che spesso le sporcava il vestito. Nonostante tutto, la fanciulla era sempre gentile e sorridente, non disubbidiva mai e svolgeva tutte le faccende con cura.
Un giorno, un banditore del Re percorreva le strade della città invitando tutte le fanciulle del regno a partecipare al grande ballo, durante il quale sarebbe stata designata la sposa per il Principe. Le sorellastre subito si precipitarono in casa ordinando a Cenerentola di mettere a posto i loro vestiti. Anche lei avrebbe voluto partecipare al ballo, ma quando lo chiese alla matrigna, questa rispose ridendo che non aveva un vestito adatto e non l’avrebbero fatta entrare. E così, rimasta sola e stanca, si accovacciò vicino al focolare e si addormentò. Poco dopo però, la stanza venne illuminata da una luce irreale e apparve una Fata: Cenerentola, Cenerentola, svegliati! Una volta sveglia la Fatina trasformò, con la sua bacchetta magica, in uno splendido abito gli stracci di Cenerentola, gli zoccoli divennero scarpette di cristallo e una zucca una splendida carrozza, trainata da topini trasformati in bellissimi cavalli bianchi. L’unica raccomandazione della Fata di ritornare entro mezzanotte, perché l’incantesimo svanirà.
Al castello la festa era già cominciata, tutti danzavano, solo il Principe sedeva sconsolato, perché non aveva trovato nessuna compagna adatta. Ma appena entrò Cenerentola la invitò a ballare e stette tutto il tempo con lei. Era bellissima e tutti la guardavano; anche la matrigna e le sorellastre, ma non la riconobbero. Cenerentola era così presa da quel sogno che non si accorse del passare delle ore, e rimase stupita quanto sentì rintoccare dodici colpi dall’orologio a pendolo. Si scusò col Principe e si buttò di corsa verso le scale, per non farsi scoprire vestita di stracci. Nella foga perse una scarpetta lungo la scala; il principe la vide e la raccolse.
L’indomani il banditore del Re, accompagnato dal Principe, invitava tutte le fanciulle a provare la scarpetta e quella che vi fosse riuscita sarebbe diventata la sposa del Principe. Le sorellastre si precipitarono per la prova, ma tornarono subito, sconfortate per il fallimento. Allora volle provare anche Cenerentola, fu il Principe in persona, che già l’aveva riconosciuta, a porgerle la scarpina. Il suo piedino vi entrava alla perfezione. Il Principe, colmo di gioia, la abbracciò e la portò al castello. Furono celebrate le nozze e da allora vissero felici e contenti.

sabato 26 novembre 2016

PREPARIAMO LA CORONA DELL’AVVENTO


Il Tempo d’Avvento è ricco di segni e la Corona (o ghirlanda) d’Avvento è uno di questi. Essa viene da un’antica tradizione nordica, secondo la quale il giorno di santa Lucia (13 dicembre), le ragazze portavano sul capo una corona addobbata con delle candele. Questo rito, probabilmente, fu introdotto in altri paesi europei e adottato dal mondo cristiano. La corona è composta di ramoscelli di alberi sempreverdi e all’interno vi sono quattro candele (tre viola e una rosa) posizionate ai margini interni dei ramoscelli, la quinta (bianca) è posizionata al centro delle altre. La corona è simbolo di vittoria: la corona di spine di Gesù che muore in croce e si trasforma in corona di vittoria al momento della Risurrezione; il colore verde ricorda la speranza nel futuro; il numero quattro delle candele ricorda i quattro Vangeli che si rivolgono a tutti gli uomini; la candela bianca è il Cristo che vince le tenebre con la sua luce; il colore rosso significa calore e vita; il bagliore delle candele accese simboleggia il progressivo avvicinarsi di Gesù che si incarna; le candele che si consumano e diffondono luce e calore ricordano la vita che Gesù ha dato per noi. La corona si utilizza in chiesa per le quattro settimane dell’Avvento: le candele vengono accese, una ogni settimana, durante la celebrazione della Santa Messa domenicale o già il sabato sera, quando c’è la Messa Vespertina. La corona viene usata anche nelle famiglie, piccole chiese domestiche, dove le candele vengono accese a indicare il cammino di attesa e di speranza.

ARTE: #BellissimePitture30

Dipinto di Leonid Afremov

Argento, come la scia della 

luna che indica la via per le 
stelle, piena di
piccole lucciole impazzite,

Nero, come le profondita’ 
assolute, cariche di vita e di 
sensazioni vergini,

Rosso, è l’ultimo raggio di sole 
nascosto dietro l’orizzonte, 
figlio del ricordo di un giorno
inebriato di luce,

Viola, il crepuscolo che racconta 
la voglia della rinascita dei 
sentimenti,

Oro, esplosione fortissima di 
sensazioni ed emozioni, 
meraviglie dell’Estate più calda,

Turchese, la ‘’perdita’’ infinita nel 
toccare il cielo,

Verde, un’alga invitata alla danza
delle onde,

Blu……… come il Mare.

I messaggeri del Mare - Colori del Mare

ARTE: #BellissimePitture29

Dipinto di Andre Kosslick

Muoveva muta l'onda

saliva l'orizzonte
e adagio sullo sfondo 
posava lento il sole

Giaceva fermo in riva 
un fragile relitto
e nella quiete fonda
calava lenta l'ombra

L'odore di salsedine 
accarezzava l'aria 
e preluse lieve al vento
il mormorio del mare

E giunse la marea
che sovrastò la riva 
ma un lieve cigolio
emerse dal silenzio

Alzatosi dal ciglio 
e avvolto dalle acque
il legno inaridito
prese a dondolare 

E rapito, cullato,
sospinto dalle onde,
abbandonò la riva
e scivolò lontano

Tra luccichii d'argento
sullo chador di luna
si allontanò per vivere
l'immensità del mare.

Giama - Fragile Relitto


ARTE: #BellissimePitture28

Dipinto di Fred Calleri

Scrivere...

è come, da bambino, quando andavo a pescare
e per esca usavo un fiore,
colto nei campi:
non ho mai preso nulla,
ma chissà quanti pesci avrò incuriosito?
E comunque ho sempre ripescato un fiore!

Quando scrivo
l'unico metro al quale penso
è quello da sarto, morbido e colorato,
tutti gli altri sono troppo rigidi!
E mi viene in mente un ago spuntato,
l'unico concessomi perché non mi pungessi...

in effetti...

Io sono un pescatore di sogni,
ho i fiori come esca
e uso il metro del sarto,
ma non confeziono poesie
perché mi manca la stoffa.

Ricamo semplici versi,
con un ago spuntato
e un filo di me,
su pezze di vita.

Giama - Il Pescatore Di Sogni

LA LEGGENDA DELL'ARCOBALENO


Un giorno, padre Sole apparve al giovane Atsosi Bagani e gli disse che avrebbe dovuto cercare una moglie in un territorio lontano e sposare la primogenita delle sorelle, chiamate Quelle-che-il-sole-non-illumina, che vivevano in un pueblo scuro e buio. Gli spiegò che erano così belle che gli uccelli, invidiosi, le avevano imprigionate e che solo lui avrebbe potuto salvarle. Gli disse che avrebbe realizzato un ponte formato da tante strisce colorate, in modo che egli, trasformato in farfalla, potesse raggiungerle e portarle via.

Atsosi, trasformato in farfalla variopinta, attraversò il ponte confondendosi con i suoi colori; arrivò nella loro casa e apparve alle sorelle, che tessevano un magnifico tappeto dai colori dell’arcobaleno. Le ragazze cercarono di prendere la farfalla, ma il Sole, che vegliava, le ridiede il suo aspetto reale.
Il giovane si presentò alle ragazze e annunciò loro che avrebbe sposato la più grande e avrebbero convissuto tutti insieme nella sua casa piena di luce. Gli uccelli si lanciarono su di loro per beccarli, ma il Sole li trasformò in farfalle e li condusse fino alla capanna di Atsosi. 

Qui fu celebrato il matrimonio.
Atsosi si dedicava alla caccia; le due sorelle tessevano tappeti, ma avevano nostalgia della loro casa buia.
Il Sole volle aiutarle: diede a ciascuna due chicci di grandine per difendersi e le trasformò in farfalle.

Appena gli uccelli si avvicinarono, scagliarono i quattro chicchi di grandine, che trasformarono progressivamente l'atmosfera in un temporale; dapprima nubi nere, poi pioggia scrosciante; ancora una grandinata e, infine, lampi e tuoni.

Giunte in salvo nella loro casa, aspettarono la fine del temporale; poi risalirono sul ponte dai mille colori e raggiunsero nuovamente Atsosi.

Nonostante vivessero bene nella luminosa casa di Atsosi, periodicamente venivano prese dalla nostalgia e il Sole, ogni volta, ricreava il ponte colorato perché potessero raggiungere la loro casa buia e, successivamente, ritornare alla casa del sole.

Da allora, quando scoppia un temporale, esso è sempre seguito dall'arcobaleno.

ARTE: #BellissimePitture27

Dipinto: Les demoiselles d'Avignon Picasso


Ballata delle donne - Edoardo Sanguineti


Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

ARTE: #BellissimePitture26

Dipinto: Albert Anker (1831-1910), Il nonno racconta una storia (1884)


L'onestà de mi' nonna - Trilussa

Quanno che nonna mia pijò marito

nun fece mica come tante e tante
che doppo un po' se troveno l'amante...
Lei, in cinquant'anni, nu' l'ha mai tradito!

Dice che un giorno un vecchio impreciuttito
che je voleva fa' lo spasimante
je disse: - V'arigalo 'sto brillante
se venite a pijavvelo in un sito. -

Un'antra, ar posto suo, come succede,
j'avrebbe detto subbito: - So' pronta.
Ma nonna, ch'era onesta, nun ciagnede;

anzi je disse: - Stattene lontano... -
Tanto ch'adesso, quanno l'aricconta,
ancora ce se mozzica le mano!


Di tutto un po' #426


Ci sono cose che mi stupiscono ancora.
Come incontrare gli sconosciuti che ti SORRIDONO.
Credo che ricuciano parecchie ferite.
Se è possibile...sorridiamo anche noi: ci sono molti strappi qui e lì da ricucire!

martedì 22 novembre 2016

Funghi che abbondano nei boschi e sulle nostre tavole!


Buoni ed anche pieni di proprietà benefiche!

Contengono sostanze antiossidanti, considerate utili per la prevenzione di patologie tumorali e di malattie legate all'invecchiamento. 

Ritenuti da secoli come un vero e proprio antibiotico naturale, sono particolarmente adatti nel periodo autunnale, poiché rafforzano il sistema immunitario. La loro comparsa durante i cambi stagione, ci fa capire che quello è il periodo adatto per consumarli e per beneficiare di tutte le loro proprietà.

Quindi perché non sbizzarrirci con qualche sfiziosa ricetta?

Per oggi voglio proporvi una zuppa presa da misya, visto che il freddo avanza:

Zuppa di funghi e fagioli:

Fate soffriggere in una padella uno spicchio d'aglio ed un peperoncino, aggiungere i funghi, salare e far cuocere per una decina di minuti.

Aggiungere la passata di pomodoro e mescolare.

Aggiungere poi i fagioli lessati precedentemente, coprite con il brodo, mescolare e far cuocere la zuppa per altri 10 minuti. 

Non appena sarà pronta la vostra zuppa, coprire con un coperchio.

Potete anche preparare dei crostini col pane, passandolo in padella con un filo d'olio ed un po' di prezzemolo tritato.
Io ci aggiungerei anche una nota o speziata, con un pizzico di curry, o piccante con un pizzico di peperoncino o paprika.

Semplice, buona e soprattutto calda!

Roma

David, Il giuramento degli Orazi
L'Impero romano nel 116 d.C. durante la sua massima espansione



Con Roma viene portata a termine per la prima volta nella storia, fra il III e il I secolo a.C. l'unificazione dell'Italia, dell'Europa occidentale e meridionale e infine dell'intero bacino del Mediterraneo. La civiltà romana, nata nell'ambito del mondo latino e italico, rappresenta il più evoluto organismo politico dell'Europa del tempo. Erede di tutte le grandi culture che l'hanno preceduta (e in primis di quella etrusca, di quella sabina e di quella greca), Roma diffonde il proprio diritto, le proprie istituzioni politiche e militari, la propria lingua, la propria tecnologia e la propria visione aristocratica e universalista della vita e del mondo da Gibilterra alla Scozia, dalla Germania renana alla Mesopotamia. L'Urbe riesce, col tempo, ad assimilare e legare al proprio destino i fenici e gli egizi dell'Africa settentrionale, i celti d'Europa, molte delle popolazioni germaniche che entreranno in contatto con essa e le popolazioni elleniche o ellenizzate del Mediterraneo orientale, che con pieno diritto continueranno ad autodefinirsi romani (Ρωμαίοι), ancora mille anni dopo la caduta dell'Occidente latino.
Fondata secondo la tradizione da Romolo il 21 aprile 753 a.C., Roma fu retta per un periodo di 244 anni da un sistema monarchico, con sovrani inizialmente di origine latina e sabina, e successivamente etrusca. La tradizione tramanda sette re: lo stesso Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo.
Espulso dalla città l'ultimo re etrusco e instaurata una repubblica oligarchica nel 509 a.C., per Roma ebbe inizio un periodo contraddistinto dalle lotte interne tra patrizi e plebei e da continue guerre contro le popolazioni italiche: Etruschi, Latini, Volsci, Equi. Divenuta padrona del Lazio, Roma condusse diverse guerre (contro Galli, Osco-Sanniti e la colonia greca di Taranto, alleatasi con Pirro, re dell'Epiro) che le permisero la conquista della penisola italica, dalla zona centrale fino alla Magna Grecia[13]. Il III ed il II secolo a.C. furono caratterizzati dalla conquista romana del Mediterraneo e dell'Oriente, dovuta alle tre guerre puniche (264-146 a.C.) combattute contro la città di Cartagine e alle tre guerre macedoniche (212-168 a.C.) contro la Macedonia. Vennero istituite le prime province romane: la Sicilia, la Sardegna e Corsica, la Spagna, la Macedonia, la Grecia (Acaia), l'Africa.
Nella seconda metà del II secolo e nel I secolo a.C. si registrarono numerose rivolte, congiure, guerre civili e dittature: sono i secoli di Tiberio e Gaio Gracco, di Giugurta, di Quinto Lutazio Catulo, di Gaio Mario, di Lucio Cornelio Silla, di Marco Emilio Lepido, di Spartaco, di Gneo Pompeo, di Marco Licinio Crasso, di Lucio Sergio Catilina, di Marco Tullio Cicerone, di Gaio Giulio Cesare e di Ottaviano, che, dopo essere stato membro del secondo triumvirato insieme con Marco Antonio e Lepido, nel 27 a.C. divenne princeps civitatis e gli fu conferito il titolo di Augusto.
Gradualmente il Principato lascia il posto all'Impero, che conobbe la sua massima espansione nel II secolo, sotto l'imperatore Traiano, Roma si confermò caput mundi, cioè capitale del mondo, espressione che le era stata attribuita già nel periodo repubblicano. Il territorio dell'impero, infatti, spaziava dall'Oceano Atlantico al Golfo Persico, dalla parte centro-meridionale della Britannia all'Egitto.
I primi secoli dell'impero, in cui governarono, oltre ad Ottaviano Augusto, gli imperatori delle dinastie Giulio-Claudia, Flavia (a cui si deve la costruzione dell'omonimo anfiteatro, noto come Colosseo) e gli Antonini, furono caratterizzati anche dalla diffusione della religione cristiana, predicata in Giudea da Gesù Cristo nella prima metà del I secolo (sotto Tiberio) e divulgata dai suoi apostoli in gran parte dell'impero.
Il mondo romano conosce il proprio apogeo, sia economico che sociale, nel II secolo.