giovedì 21 settembre 2017

LA LEGGENDA DEL SALICE

Il samurai Matsudeira andava superbo di un salice piangente che era nel suo giardino di Kyoto. All'anima del vecchio albero attribuiva la serenità che da molti anni coloriva la sua vita familiare. Ma, la gioia di Matsudeira si incrinò: la malattia grave della moglie e la rottura di una gamba del figlio, spinse l’uomo a nutrire sospetti. Qualcosa doveva essere contro di lui. L'anima del salice non era più benevola, così giudicò prudente sbarazzarsi della creatura che non voleva più proteggerlo. Confidò la sua decisione all'amico Inabata. Il buon uomo lo sconsigliò di mettere in pratica il disegno che gli parve sacrilego: “L’anima del salice è sacra, non puoi offenderla. Vendimi l’albero, piuttosto”. Matsudeira approvò l’idea. L’amico fece trapiantare il salice nel suo giardino. Era vedovo, senza figli, gli parve di aver con sé un parente affettuoso, non sentì più la malinconia della solitudine. Un mattino, uscendo da casa, vide, appoggiata al tronco del salice, una donna bellissima con una tunica verde. Gli sorrise, con dolcezza. Come aveva fatto la creatura a entrare nel giardino se la porta era chiusa? L’uomo pregò la sconosciuta di restare un poco con lui, le offrì del tè. Nacque subito, tra i due, un sentimento di amorevole amicizia e le nozze legarono, per la vita, la donna gentile e l’onesto Inabata. Nacque un bimbo cui venne dato il nome di Janagi (che in giapponese significa salice). La famigliola visse, per qualche anno, nella perfetta felicità. Ma un fatto imprevedibile cambiò l'esistenza delle tre creature. Nel tempio di Sanjusangendo era sprofondato un pilastro. I sacerdoti dissero che per ripararlo era necessario il legno di un vecchio salice. Il comandante di Kyoto, mandò a cercare l’albero adatto e la scelta cadde sul salice di Inabata. Questi cercò di difendere l'amico tanto caro, che dava pregio al suo giardino, ma non vi riuscì. Gli uomini dissero che sarebbero tornati presto per abbattere l’albero. La moglie di Inabata si era nascosta in casa e il marito si accorse che piangeva: “Che hai, mia dolce sposa?”. La donna parlò tra le lacrime: “Mio amabile amico, tu mi hai dato gioia. Io sono l’anima del salice, non te lo dissi prima, per non turbarti. Sparirò, quindi, dalla tua vita, dalla vita del nostro piccolo Janagi”. “Impedirò che l’albero venga abbattuto – gridò Inabata - Non voglio rinunziare a te”. “Mio caro, il salice cui appartengo viene sacrificato alla dea Kwannon, la Signora della Pietà. La dea ti proteggerà, proteggerà il nostro bimbo”. Giunsero gli operai con le scuri e le corde. La soave donna divenne diafana come un fantasma e quando l’albero cadde, disparve. Il grosso tronco sembrava di ferro. Gli uomini che dovevano trasportarlo al tempio non riuscirono a muoverlo. Vennero chiesti altri aiutanti, ma il salice era misteriosamente legato alla terra, ogni sforzo per sollevarlo riusciva inutile. Il piccolo Janagi aveva assistito alla fatica degli uomini. Si avvicinò all’albero e accarezzò il tronco. Disse con dolcezza: “Perché non ti muovi?”. Avvenne un miracolo. La creatura vegetale divenne docile alla volontà del fanciullo. E fu proprio Janagi che, toccando con la sua manina, riuscì a trasportarlo al tempio.

Leggenda giapponese

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